Che un fotografo debba essere un buon osservatore è un fatto assodato. Non deve solo saper vedere, ma anche pre-visualizzare, in molti ambiti. In particolare, nella ritrattistica, dobbiamo saper osservare le persone, con dovuta discrezione e buona creanza, ovviamente.

È necessaria, infatti, anche un po’ di psicologia. Quando vediamo un soggetto che ci piace, dobbiamo fare innanzitutto in modo che non ci scambino per maniaci, quindi osserviamolo, ma con discrezione e valutiamo ogni caratteristica che lo rende il soggetto fantastico che noi abbiamo visto. E cerchiamo anche di capire, da come si comporta, se in quel momento è disposto a farsi ritrarre: potrebbe essere di fretta o di cattivo umore e, in quel caso, non sarà difficile notarlo.

Una delle principali caratteristiche che deve avere un buon soggetto è senza dubbio l’aspetto complessivo. Altezza, peso, forma fisica in generale, ma anche modo di muoversi, porsi, comportarsi. Non deve necessariamente essere una persona di bell’aspetto o particolarmente aggraziata nei modi. Le rughe, così come un incedere claudicante, possono raccontare la storia di un vissuto molto più ricco di una posa statuaria o pelle immacolata.

Anche un particolare abbigliamento può attirare la nostra attenzione. Un vestito sgargiante, un’uniforme particolare, o un costume durante una rappresentazione teatrale o un comicon. Così, come una acconciatura particolare, un trucco marcato o un accessorio fuori dal comune.

Soprattutto se tutto ciò è in qualche modo correlato all’ambiente circostante. O in forte contrasto con esso. A ogni modo, quale che sia la caratteristica che ha attirato la nostra attenzione, dobbiamo focalizzarci su di essa e studiare il soggetto per comprendere come esaltarlo e renderlo al meglio. Per esempio, se ci ha colpito la concentrazione di un lavoratore, non gli chiederemo di sorridere, guardando in macchina, mentre lo fotografiamo, ma gli proporremo di riprendere il lavoro come se noi non ci fossimo.

Già, perché, comunque è il caso di interagire col soggetto e fargli sapere che abbiamo intenzione di fotografarlo, ottenendo il suo consenso e facendogli firmare una liberatoria, stando ben attenti a non chiederlo nel momento culmine del gesto che ha attirato la nostra attenzione (se ce n’è stato uno).

Infine, quale che sia stata l’emozione che ci ha provocato il soggetto, cerchiamo il modo di restituirla agli spettatori in modo adeguato. Per esempio, fotografare una persona caduta a terra che cerca di rialzarsi, potrebbe essere un omaggio alla sua forza, un inno all’andare avanti, ma stiamo attenti a che non sembri che vogliamo deridere chi è caduto. Non a caso, molti fotografi si imbarazzano a ritrarre persone che piangono.

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