Uno dei problemi principali in fotografia è rendere in due sole dimensioni lo spazio tridimensionale. Volenti o nolenti, dobbiamo fare i conti con lo schiacciamento dovuto alla proiezione della luce su una superficie piatta (sia il sensore digitale o il frame di pellicola). Esistono diverse tecniche e tecnologie che ci consentono, quando lo vogliamo, di aumentare la profondità nelle nostre immagini e restituire quel senso di tridimensionalità che cerchiamo. Vediamo le principali.
Profondità di campo
L’obiettivo è dunque quello di aumentare la profondità di campo, ovvero la sensazione che la terza dimensione, di fatto assente nella nostra immagine, sia comunque percepibile. Sappiamo che la profondità di campo dipende dalla dimensione del sensore (o del frame di pellicola), dalla lunghezza focale dell’obiettivo e dalla distanza dal soggetto e ne riparleremo più avanti.

Per ora diamo uno sguardo ad alcuni accorgimenti più strettamente legati alla composizione per dare tridimensionalità ai nostri scatti.
Posizionamento relativo

Nel leggere un’immagine, diamo sempre per scontato che ciò che sia più in basso nell’inquadratura sia a noi più vicino e ciò che è più in alto sia più lontano. Ciò deriva dalla nostra esperienza quotidiana e vi basterà guardare fuori dalla finestra per rendervene conto.
Questa tecnica è particolarmente evidente nell’arte orientale, in cui la prospettiva non era utilizzata così come codificata in occidente da Leon Battista Alberti, ma ricreata ponendo in alto i soggetti lontani e in basso quelli vicini. Ancora in epoca moderna l’arte orientale risente di questa impostazione, basti pensare al cinema di Akira Kurosawa, che molto ha influito su autori occidentali, come Sergio Leone e Quentin Tarantino, ma anche noi occidentali recepiamo inconsciamente gli effetti di questa percezione, che in fotografia può essere accentuata riprendendo la scena da un punto di vista leggermente sopraelevato.
Ciò che invece può distinguerci dall’oriente è la nostra abitudine a leggere da sinistra a destra, che influenza anche la nostra percezione del tridimensonale. Per quanto l’effetto sia meno marcato, tendiamo a percepire come più vicini elementi che sono sulla sinistra dell’inquadratura e più lontani quelli sulla destra.
Prospettiva lineare
La già accennata prospettiva lineare è decisamente un tratto tipico della cultura e dell’arte occidentale, riscontrabile anche prima della sua formalizzazione, per esempio nei lavori di Brunelleschi. Non è questo il contesto per una trattazione formale dell’argomento (del resto, noi, in quanto fotografi, ci troveremo più che altro a fare i conti con una prospettiva esistente, senza doverla ricreare), ma fondamentalmente il principio della prospettiva lineare afferma che guardando in lontananza le linee di fuga sembrano convergere, a causa della sfericicità dell’obiettivo (e dell’occhio umano) verso un unico punto. Ancora, vi basterà guardare fuori dalla finestra, in lontananza, per avere esperienza di ciò.

Dimensioni relative
Direttamente collegato al concetto di prospettiva lineare c’è quello delle dimensioni relative: oggetti più vicini ci sembrano più grandi, mentre quelli lontani appaiono più piccoli. Quindi la presenza di oggetti di dimensioni note, farà sì che la distorsione apparente delle loro dimensioni relative, dovuta alla diversa distanza, nell’inquadratura, dia immeditamente il senso di profondità.

Anche nel caso di un singolo soggetto è possibile sfruttare le dimensioni relative per ottenere un effetto profondità, tramite una rappresentazione di scorcio. Vedremo meglio questo concetto più avanti, parlando degli obiettivi grandangolari, ma in generale, è un effetto abbastanza noto quello per cui le parti di un soggetto, che si estende in profondità, più vicine a noi sembrino più grandi di quelle lontane (pensate a una persona con il braccio proteso verso di voi, per esempio).

Sovrapposizione
Effetto che potrà essere ancora più accentuato da un’eventuale sovrapposizione. Ciò che è in primo piano sarà necessariamente posto davanti e, quindi, nasconderà almeno parzialmente, ciò che gli sta dietro, più in lontananza: questa chiara rappresentazione di più piani nella stessa immagine è un chiaro indizio di tridimensionalità.

Prospettiva aerea
La luce nella nostra atmosfera ha, alle volte, un po’ di difficoltà ad attraversare il pulviscolo e la foschia. Le componenti luminose tendenti al blu, più cariche di energia, vi riescono abbastanza bene, mentre le onde più lunghe, tendenti al rosso e meno cariche di energia, ne risultano filtrate. Questo crea un effetto noto come prospettiva aerea o atmosferica, per cui i soggetti in lontananza risultano sbiaditi, come coperti da uno strato di foschia. Anche questo effetto può essere utilizzato in fotografia per rendere tridimensionalità, tanto in contesti naturali, quanto in quelli artificiali.

Chiaroscuro
E infine, ma non per minore importanza, arrivano le ombre, che danno forma e tridimensionalità alla luce. Pensate alla classica luce beauty dei set di moda: appiattisce in modo inesorabile il viso del soggetto e rende imprescindibile l’uso di un buon make-up. Con uno schema di luci diverso, come luce laterale, le ombre riporteranno quella tridimensionalità perduta. Illuminare in modo diverso i vari piani di un’immagine, similmente alla messa a fuoco selettiva, è altresì un ulteriore modo di sottolineare la presenza di più livelli di profondità in un’immagine.

Focale degli obiettivi
La nostra vista è, dal punto di vista della prospettiva, del tutto equivalente ai cosiddetti obiettivi normali (anzi, questi obiettivi sono detti normali proprio per questo motivo), cioè quelli compresi tra i 40mm e i 55mm nella fotografia 35mm (full-frame).
Teleobiettivi

Obiettivi più lunghi, detti teleobiettivi, comportano un effetto di schiacciamento nelle nostre foto, riducendo la distanza apparente tra i soggetti, uniformandone le dimensioni relative e attenuando la distorsione delle linee di fuga dovuta alla prospettiva lineare. Insomma, i teleobiettivi riducono la tridimensionalità di un’immagine, se non per un dettaglio non trascurabile: un obiettivo più lungo ha una profondità di campo più ridotta.
In effetti, uno dei metodi che uso più spesso per dare tridimensionalità a uno scatto consiste proprio nel ridurre la profondità di campo, in modo che i diversi piani di fuoco, con i soggetti ben nitidi e lo sfondo sfocato, rendano immediata la percezione dello spazio. Reso celebre dalla fotografia di moda negli anni Ottanta del secolo scorso, questo metodo non è molto apprezzato dai paesaggisti (e un tempo era considerato un abominio nel cinema, in cui tutta la scena era sempre a fuoco, cfr. qualsiasi film degli anni Sessanta), ma nella ritrattistica è ormai un cliché.
Grandangoli
Diametralmente opposta è la resa di un obiettivo grandangolare, con focale più corta della normale e un ampio angolo di campo. Di largo uso tra i paesaggisti, il grandangolo è decisamente meno ben visto dai ritrattisti, tranne in casi particolari, per via dell’accentuata distorsione delle linee. Potrei, per esempio, sfruttare in un ritratto ambientato l’effetto dato dal grandangolo per far “uscire fuori” il soggetto dall’inquadratura o, in un primo piano molto stretto, l‘effetto buffo che crea su un viso (avete presente il nasone che vi viene fuori quando vi scattate un selfie? Ringraziate l’obiettivo corto del vostro smartphone per il gentile regalo).

Proprio tale distorsione, tuttavia, rende qualsiasi obiettivo grandangolare uno strumento fantastico per conferire tridimensionalità alle immagini. La focale corta infatti accentua la distanza apparente tra i soggetti, esaspera la convergenza delle linee di fuga ed accentua la differenza di dimensioni relative tra i soggetti sui vari piani, il tutto comportando, però, una maggiore profondità di campo e rendendo più difficile ottenere un buono sfumato.

è sempre interessantissimo seguire il tuo blog, bisognerebbe che imparassero in molti a scattare e saper osservare le varie immagini. Non si vedrebbero quegli scatti penosi che circolano in rete.😉
"Mi piace""Mi piace"
Grazie
"Mi piace"Piace a 1 persona