Conclusa l’analisi della semiotica figurativa, passiamo ad analizzare la semiotica plastica, quindi, dopo aver studiato le configurazioni visive come rappresentazioni del mondo reale e le strutture narrative per la realizzazione di testi visivi, ci soffermeremo sul linguaggio plastico, cioè su come forme, colori e disposizioni possono creare effetti sulle nostre percezioni indipendentemente dagli aspetti iconografici e iconologici di un’opera.
Psicologia della Gestalt
Fondamentalmente in questo articolo riscopriremo alcuni aspetti della composizione che sono influenzati della semiotica, con particolare attenzione alla psicologia della Gestalt e agli effetti sulla percezione delle immagini. Prendiamo per esempio la seguente immagine:

A livello figurativo si tratta di una natura morta, dei pomodori in un piatto, su una tavola con una tovaglia. A livello plastico, però, l’immagine di compone di quattro cerchi, inclusi in un cerchio più grande, poggiato su un rettangolo decorato con altri cerchi. Questo linguaggio plastico è indipendente dall’aspetto figurativo dell’immagine. Potremmo ottenere lo stesso effetto con delle biglie disposte nel tappo di un barattolo, così come avremmo potuto disporre quei pomodori in mille altri modi. Il linguaggio plastico rappresenta dunque un vero e proprio livello separato dell’opera, lo dimostrano alcune opere astratte, come i quadri di Jackson Pollock che non hanno un vero e proprio livello figurativo, ma solo quello plastico, eppure riescono a trasmettere allo spettatore delle emozioni.

Ma come possono delle configurazioni visive creare degli effetti di senso così ben definiti, tanto da essere simili se non identici su chiunque le osservi? Domande come questa ricadono nell’ambito della psicologia della percezione e in particolare nella sua più illustre branca, la psicologia della Gestalt. L’idea di base è che forme, linee, raggruppamenti e disposizioni possano creare reazioni elementari nell’osservatore e che ciò avviene perlopiù perché l’occhio umano tende a vedere gli elementi di un’immagine come raggruppamenti di entità che interagiscono tra loro. Tale tendenza è così forte che un osservatore tende a considerare in prima battuta la visione d’insieme e solo successivamente i singoli elementi, basti pensare a quando osserviamo una tramatura.

Leggi di unificazione figurale
Il modo in cui ciò accade è codificato da una serie di leggi, dette leggi di unificazione figurale:
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Ci sono casi in cui la somiglianza è contrastata dalla nostra esperienza: non possiamo percepire come un gruppo due pugili che si affrontano Vicinanza: il primo criterio che prendiamo in esame è quello, probabilmente più semplice, per cui elementi che sono tra loro vicini sono percepiti come un gruppo;
- Orientamento: anche elementi che hanno lo stesso orientamento sono percepiti come un gruppo, anche se mescolati con altri elementi;
- Somiglianza: così come elementi simili per colore, forma o qualsiasi altro aspetto formano nella nostra percezione un gruppo;
- Destino comune: anche elementi che si somigliano nel movimento, inteso sempre come rappresentazione di un movimento, dato che di immagini statiche stiamo parlando, seguono le regole di raggruppamento;
- Direzionalità: tale movimento sarà inoltre rafforzato, così come il raggruppamento, da una forma particolare dell’immagine, per esempio un rettangolo orizzontale che accentui un movimento orizzontale;
- Persistenza dell’organizzazione iniziale: se, però, il movimento tende a separare degli elementi, il nostro occhio tende a mantenere intatta la percezione del movimento;
- Direzione e buona continuazione: se diversi elementi convergono in un punto, sono considerati come un raggruppamento, soprattutto se quegli elementi sono sulla stessa direttrice, anche se con versi diversi;
- Chiusura: così come gli elementi racchiusi da un elemento che fa loro da cornice;
- Esperienza passata: ovviamente, come in tutte le cose, anche la nostra esperienza ci influenza nella creazione di raggruppamenti. Per esempio, nel vedere cinque pecore sparse su un prato, penseremo immediatamente a un gregge;

Ovviamente queste regole, come in generale quelle della composizione possono anche essere in contrasto tra loro e, sebbene si sia tentato di creare una gerarchia, non vi è possibilità di stabilire quali reazioni prevarranno sullo spettatore, nel caso in cui più regole in contrasto convivano nella stessa immagine.
Sfondo e buona forma
La psicologia della Gestalt non si è limitata, tuttavia, ha studiare solo i raggruppamenti delle figure sulla scena, ma anche del rapporto stesso tra figure e scena, anzi, tra figure e sfondo. Conosciamo bene l’importanza dello sfondo, tale che esso può diventare un vero e proprio personaggio. Nel linguaggio plastico è stato analizzato il concetto stesso di sfondo e come questo ultimo si differenzia dalla figura. Sono stati, infatti, individuati alcuni criteri di massima che caratterizzano la figura (e quindi non lo sfondo).
Figura | Sfondo | ||
Oggettuale | La figura di solito è una cosa o persona, di solida consistenza e dai bordi ben definiti | Evanescente | Lo sfondo è spesso inconsistente, evanescente, tende a sparire. Talvolta è solo uno spazio vuoto |
Epifanica | La figura è quasi sempre dotata di un colore epifanico, materiale, compatto, quasi tangibile | Diafanico | Lo sfondo ha solitamente un colore diafanico, immateriale, sfumato, tendente alla trasparenza |
Vicina | La figura solitamente è percepita come più vicina, rispetto allo sfondo | Lontano | Lo sfondo è solitamente ciò che sta dietro alla figura |
Da tutto ciò potrebbe sembrare che lo sfondo assuma una importanza secondaria nel linguaggio plastico e, più in generale, nella composizione, ma sappiamo che non è così. La fotografia è selezione e, se c’è qualcosa di non importante, andrebbe tolta. Lo sfondo invece riveste una sua importanza anche e soprattutto perché spesso definisce meglio la figura. Essa inoltre occupa solitamente uno spazio più piccolo nell’immagine, ha un orientamento orizzontale o verticale (non diagonale, meno in linea con la nostra esperienza quotidiana), è inclusa in uno spazio includente (che per l’appunto è lo sfondo), ha più di frequente bordi convessi, che ne risaltano il distacco dallo sfondo. Infine anche una simmetria, un parallelismo delle linee e una larghezza costante, seppur caratteristiche non necessarie, aiutano a percepire un elemento come figura (le linee di prospettiva sullo sfondo tendono, invece, a convergere). Anche in questo caso, possono esserci caratteristiche in contrasto, il che può portare ad ambiguità figura-sfondo.

Altro concetto importante nella Gestalt è quello della buona forma, detto anche pregnanza. Una buona forma è una forma semplice, perlopiù simmetrica, regolare o, per usare un termine più forte, stabile. Queste forme finiscono per essere termine di paragone per tutte le altre forme che il linguaggio plastico contempla: un’ellissi è quasi un cerchio, per esempio, come un rettangolo con i lati in proporzione 2:1 è un mezzo quadrato. Anche dal punto di vista dell’informazione pura, una buona forma è quella che richiede minor sforzo per essere percepita. Pensiamo a ciò che accade quando facciamo un disegno di qualcosa di tridimensionale: il nostro occhio cerca prima di percepirlo come una figura bidimensionale e, solo quando non la percepisce come armoniosa, tenta di correggerne la percezione leggendola in tre dimensioni.

Equilibrio e direzione
Gli ultimi due concetti che vediamo della psicologia della Gestalt riguardano l’equilibrio e la direzione, due concetti che richiamano la nostra esperienza comune e che si applicano solo metaforicamente alle immagini, perché le figure che rappresentiamo,

sono ben stabili e immobili: ciò che possiamo ottenere è la percezione di un movimento o di un dis/equilibrio. È importante ricordare che equilibrio non significa necessariamente assenza di dinamismo. In fisica si distinguono tre condizioni in merito:
- Equilibrio statico. La condizione in cui le forze si bilanciano perfettamente e, se anche interviene un’ulteriore forza a perturbarlo, gli elementi in gioco, non appena tale forza cessa di agire, tenderanno a tornare nella situazione di equilibrio iniziale. Pensate a una pallina sul fondo di una ciotola, spingetela mentalmente con un dito sul bordo della ciotola e poi lasciatela: rotolerà giù e continuerà ad oscillare, prima di rifermarsi sul fondo del recipiente.
- Equilibrio dinamico. La condizione in cui in cui le forze si bilanciano, ma in caso di una qualsiasi perturbazione, gli elementi si muoveranno fino a una diversa situazione di equilibrio. Per esempio, la stessa pallina in equilibrio sul bordo della ciotola: se la si spinge giù, si riporterà sul fondo.
- Disequilibrio: La condizione in cui alcune forze vincono su altre. Pensate ora quella pallina su un piano inclinato: la gravità vince sull’attrito e sulla resistenza viscosa dell’aria e la pallina rotola sempre più velocemente.
Ciò è dovuto anche al fatto che la nostra mente tende a ricostruire i dettagli di un’immagine financo aggiungendo elementi che di fatto non ci sono, come una direttrice di lettura o un centro nell’immagine. Quando usiamo la regole dei terzi e spostiamo un soggetto su un lato dell’immagine, in alcuni casi con la mente non facciamo altro che cercare di rimettere al centro quella figura, dove ci aspettiamo di trovarla, abituati al nostro sguardo, che mette sempre al centro ciò che è di nostro interesse. Di fatto noi aggiungiamo un aspetto fenomenico non realmente presente nell’immagine.

Così come puramente fenomenica è la nostra tendenza a considerare delle linee, reali o suggerite, come direttrici di lettura, come vettori, dotati di direzione e verso, che rappresentino le forze che si muovono nella (percezione della) nostra immagine. E questa nostra abitudine è tanto radicata che tendiamo ad attribuire direzione e verso anche a oggetti come gli alberi e figure geometriche come i triangoli.
L’equilibrio è inoltre influenzato dalla disposizione verticale degli elementi. A causa della nostra familiarità con la forza di gravità, tendiamo a percepire come più pesante, anche nel senso di dotato di maggior peso visivo, ciò che sta più in basso o che si muove verso il basso, basti pensare a un albero che si staglia in alto, con le sue fronde leggere e il tronco pesante. In realtà ciò vale anche in senso orizzontale: ciò che è a destra è solitamente percepito come più pesante.

Questo probabilmente accade perché siamo abituati a leggere le immagini da sinistra verso destra e a percepire come più fluidi e naturali i movimenti in questa direzione. Ovviamente ciò vale non solo per i movimenti iconografici, ma anche quelli puramente plastici dei vettori e delle forme. Ci sono stati diversi tentativi di ricondurre la cosa alla divisione del cervello in due emisferi, ma più probabilmente la questione è culturale. La nostra tendenza a leggere i testi dall’alto in basso e da destra a sinistra, insomma, gioca un ruolo importante anche nei testi visivi. Non a caso, nelle culture orientali, come quella giapponese, sono più frequenti i movimenti da destra a sinistra.

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