Guardare le proprie foto

Scattare una foto spesso (sempre?) comporta investire le proprie emozioni nell’immagine che si vuole ritrarre. Roland Barthes ne “La camera chiara” sosteneva che in un ritratto ci sono sempre tre persone: il soggetto, il fotografo e l’osservatore. Cosa accade quando due o tutte e tre queste persone coincidono? Cosa, quando tra questi c’è un qualche legame emotivo? Cosa, quando si fotografa qualcuno cui si vuol bene? O un paesaggio appartenente a un luogo felice? Riusciamo a far sì che chi fruirà di quella foto oltre noi (e chiunque altro provi gli stessi sentimenti nei confronti del soggetto) vivrà le nostre stesse emozioni?

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Una comune foto ricordo di una visita alla Reggia di Caserta

Qualche tempo fa ho visitato con alcuni amici la Reggia di Caserta e, neanche a dirlo, ho scattato diverse fotografie, soprattutto nel giardino della villa, e non sono mancate le foto ricordo. Solitamente cerco di evitare un punto di ripresa troppo alto, che potrebbe “opprimere” i soggetti, sennonché, scattata la prima foto, mi accorgo che una carrozza, uno dei calessi in servizio nel parco per i turisti, stava per partire e sarebbe passato accanto ai miei amici. Per riprenderlo al meglio, mi sono rimesso in piedi (sono “altino” e spesso devo inginocchiarmi per stare ad altezza ombelico dei miei soggetti, nei ritratti a figura intera) e, scegliendo un punto di ripresa più alto, sono riuscito a scattare una foto, che riprendesse bene anche l’insolito mezzo di trasporto.

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La stessa foto ricordo con un quid in più. È così solo per me?

Sono stato abbastanza rapido da cambiare impostazioni per sovraesporre leggermente la foto. Perchè? Perché nella mia mente avevo già deciso che quella sarebbe stata una foto in bianco e nero. Volevo che quella foto, in una location storica, con un elemento così vintage suscitasse quanto più possibile nello spettatore il fascino di un’epoca passata.

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Ho provato diverse volte a “viaggiare nel passato”, quel giorno

Più guardo questa foto e più penso di esserci riuscito, ma chi può dirlo? Beh, chiunque osservi quella foto in realtà. Solo che spesso non possiamo sapere se ciò che abbiamo ricercato è ciò che abbiamo ottenuto, finché non ne vediamo, anzi, non ne facciamo vedere il risultato. Scattare una foto di un paesaggio assolato basterà a trasmettere il senso del caldo anche a chi non era presente e non l’ha vissuto? Mostrare la foto di un gustoso e fragrante piatto di pasta farà venire l’acquolina in bocca anche a chi non ha goduto di quel profumo e di quel sapore?

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Una mostra di arte contemporanea mi ha dato anche lo spunto per mischiare ulteriormente passato e presente… o futuro?

Queste sono le domande che dovremmo porci prima di scattare una foto. In comunicazione si suole chiedersi “Cosa attiverà la mia comunicazione?“. Noi dobbiamo chiederci “Cosa trasmetterà la nostra foto?” e “A chi?”. Nel suo articolo “Photo. Objectif amateurs“, comparso su L’Express il 25 Giugno 1998, Laurent Boudier scriveva “Che importano il flou, le teste tagliate, gli occhi da coniglio [rossi, NdT]? Quando si ama chi appare – anche se parzialmente – nella foto, solo il ricordo conta“.

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Se una vostra amica vi chiede una foto con il mare lucente sullo sfondo, ma siete in controluce e non avete il flash, siete disposti a rischiare un improbabile HDR con braketing a mano libera per accontentarla?

Così mi capita di trovarmi nel giardino di Villa d’Este a Tivoli con la mia Fuji X30, un cavalletto Manfrotto Pixi e dei filtri ND perfetti per giocare un po’ con l’acqua delle varie fontane e cascate presenti. Un po’ meno per dei ritratti, che, in realtà, sono la mia passione. Trovandomi così con la mia amica Arianna, abbiamo tentato un piccolo esperimento: ritrarla con lunghi tempi di esposizione in posa fissa davanti a quei giochi d’acqua. Non è stato semplice. Aspettare il momento giusto, preparare lo scatto, sentire addosso gli sguardi degli altri visitatori che, credo, ci hanno preso per matti, ma, soprattutto, restare perfettamente immobili per diversi secondi! Io, come ho detto, avevo un cavalletto, anche se piccolo, ma Arianna è stata a dir poco stoica.

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Una modella, dei giochi d’acqua e un pizzico di sana follia

Nonostante il suo impegno, per la maggior parte delle foto non siamo riusciti a evitare del micromosso, perlopiù sul viso, che probabilmente disturba chiunque altro, a parte me e lei, guardi quelle immagini. Per noi, restano il ricordo di una bella giornata, di un esperimento divertente e l’affetto che possiamo nutrire entrambi per il soggetto ce le rende comunque delle splendide foto.

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In questa immagine il viso di Arianna è decisamente mosso

Qual è dunque il succo del discorso? Occorre distacco, per scattare una bella foto? No, anzi, tutt’altro. Io direi che occorre una bella dose di passione: fotografiamo meglio, quando fotografiamo ciò che ci piace. E non basta una buona macchina fotografica e tutta la tecnica del mondo: sarebbe come dire che per scrivere una buona storia basta avere una penna costosa e conoscere bene la grammatica.

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Conoscere le mille sfaccettature del mosso e saperle usare può comunque dare la possibilità di scattare delle belle foto

Bisogna solo essere in grado di mettersi in “seconda posizione” (sempre prendendo in prestito il linguaggio della comunicazione persuasiva), nei panni di un altro, chiedendosi se fosse la foto di un altro, scattata da un altro, se fosse una foto pubblicata su una rivista o trovata in un cassetto, ci susciterebbe le stesse emozioni?

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La mia serie di autoritratti allo specchio può non essere apprezzata dal pubblico quanto da me stesso

Sempre che la cosa vi interessi! Nessuno ci vieta di scattare foto solo per noi stessi o “per coloro dal cui sorriso e dal cui benessere dipende la nostra felicità” (“Come io vedo il mondo“, A. Einstein).

15 pensieri riguardo “Guardare le proprie foto

  1. sono stato in tutti i posti di cui parli, alla Reggia ho scattato quasi 200 foto, anche a Tivoli ne ho scattate moltissime. Condivido il discorso di trasmettere empatia a chi guarda i nostri scatti, spesso osservando un’immagine rimaniamo trasportati proprio in quel momento, se sentiamo i profumi, le temperature. Per un attimo viviamo gli stessi istanti dei soggetti che erano davanti a noi, o solo il paesaggio che il singolo fotografo, tipo me, aveva davanti.
    Un altro bell’articolo con interessanti immagini di riferimento riguardo le tecniche fotografiche.

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  2. Bell’articolo con buoni spunti per riflettere. Io direi che prima di tutto, noi appassionati fotografi (quindi quando non scatti per lavoro) lo facciamo in primis per dare soddisfazione a noi stessi, per bloccare sulla pellicola o sul sensore quel momento che ci ha emozionato o interessato, per poterlo nuovamente vedere e godere in futuro, in secondo luogo per cercare di trasmettere ad altri (appunto al terzo soggetto, l’osservatore), quello che noi abbiamo provato prima e durante lo scatto, quel che ci ha ispirato. Questa è la cosa più difficile, ma nella maggior parte dei casi è sufficiente anche la prima motivazione

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