Oggi non ha molto senso proporre un dibattito per stabilire se la fotografia è arte o meno, ma un tempo non era decisamente così. Lo stesso Talbot, uno dei due inventori della fotografia (l’altro è Daguerre), era molto interessato a ciò che la fotografia fosse in realtà, mentre Baudelaire la considerava poco più di un mezzo tecnico. Oggi, perlappunto, la fotografia ha posto nei musei e nei libri d’arte quanto altre espressioni artistiche, tanto che alcuni fotografi vorrebbero considerare arte tutto ciò che producono e, per questo, porsi al di sopra della privacy (cfr. link 1, link 2, link 3).
Per chi fosse interessato ad approfondire la questione, consiglio l’ottimo saggio di David Bate “La fotografia d’arte“, edito in Italia da Einaudi. Il volume è una sorta di piccola storia della fotografia dal punto di vista artistico dell’impiego del mezzo.
Dopo l’introduzione di rito, il primo capitolo si concentra sulla nascita della fotografia, sulla pervasività della fotografia nella nostra vita e sul fatto che, come dicevo, al giorno d’oggi nessuno si sognerebbe di negare la natura artistica della foto, per poi essere seguito da una disanima, nel capitolo due, del pittorialismo, quella che forse è la prima vera corrente artistica fotografica, con il suo ritorno in auge negli ultimi anni, perché nell’arte in generale e nella fotografia in particolare, i ritorni di fiamma sono assai consueti.
Il terzo capitolo esplora l’assunzione nella grande famiglia dell’arte della fotografia di documento, analizzando cosa sia la fotografia di documento e come essa sia giunta negli archivi artistici, partendo dal lavoro di Eugène Atget, un signore che si definiva al servizio degli artisti e che oggi è considerato uno dei primi fotografi artisti.
Il capitolo successivo, il quarto, si occupa della fotografia concettuale, ovvero quella in cui la bellezza artistica dello scatto è subordinata al concetto che l’immagine vuole esprimere. Veniamo così a conoscere aspetti della fotografia come l’assenza del soggetto e la fotografia performativa che sono poi sfociati nel postconcettualismo.
Non meno importante nella fotografia d’arte è il contenuto del quinti capitolo, che esplora il concetto di arte come archivio, come collezione artistica, intesa come quella di un museo, ma anche come memoria collettiva. Perché anch’essa, anche il mal d’archivio e la rimozione sono aspetti dell’arte. Così come la rappresentazione dello spazio, esplorata nell’ultimo capitolo, incentrato sulla poetica dello spazio e sull’uso dei luoghi e anche dei non-luoghi nella fotografia d’arte.
Il testo, corredato da un’ottima bibliografia selezionata e oltre novanta immagini, non si distingue certo per la sua leggerezza e semplicità di lettura, cionondimeno il volume, con la dovuta attenzione, consente al lettore di approfondire come poche altre pubblicazioni l’argomento ed è pieno di spunti interessanti anche per il fotografo in cerca di quel quid in più per il suo lavoro.
In fondo, conoscere i giganti che ci hanno preceduto è sempre un ottimo punto di partenza per migliorarsi e per prendere consapevolezza del perché alcune nostre foto, seppur perfette nel nostro cuore, non sono arte.
Buona lettura