Al giorno d’oggi moltissima fotografia nasce (e muore) per il web e in particolar modo per i social, che non richiedono una risoluzione molto alta e sono tutt’altro che pensate per la stampa. Eppure la stampa è stata fino agli anni Novanta del secolo scorso imprescindibile per godere di una bella fotografia (a esclusione delle diapositive) e non mancano persone che amano, per esempio, sfogliare un bell’album fotografico o un fotolibro. Insomma, anche la pellicola sembrava destinata a sparire e, certamente è in declino, ma sopravvive, come pure la stampa.

Tuttavia, non è di questo che parleremo in questo articolo. Credo che ognuno abbia il diritto di conservare i propri ricordi come meglio crede, in digitale o su carta. A parte la raccomandazione di scattare immagini solo a una risoluzione sufficientemente alta, se vogliamo destinarle alla stampa, non c’è dunque molto altro da aggiungere sull’argomento.

La fotografia in grande formato, in realtà, ha un’origine illustre, forse la più illustre: quella artistica. Il dibattito sull’artisticità della fotografia è ormai storia vecchia e archiviata. Nessuno si stupisce più di trovare fotografie nei musei e per un artefatto stare in un museo e come per una parola stare sul vocabolario: l’artefatto diventa arte e la parola diventa lingua.

Proprio per stare nei musei o per sostituire i vecchi ritratti di famiglia, una volta dipinti, la fotografia ha cominciato a essere impressa su stampe di dimensioni sempre più grandi: per avere la dignità riservata a un capolavoro, bisogna saper occupare un’intera parete e anche con il dovuto stile.

Questo a sua volta ha avuto un impatto anche sulla fruizione dell’opera, che è stata tolta dalle mani del singolo spettatore e posta di fronte a una platea pronta a osservarla, una schiera di persone, ognuna delle quali in grado di influenzare ed essere influenzata dalle altre. Insomma, anche per la fotografia a un certo punto è arrivato il momento delle reazioni collettive, che suscitano le attenzioni di studiosi e, neanche a dirlo, dei fotografi. Per esempio, Elliot Erwitt ha dedicato diversi scatti al comportamento delle persone nei musei: si pensi anche solo alla sua fotografia scattata nel 1995 al Museo del Prado davanti alle due “Maja” di Francisco Goya.

La decisione del formato dell’immagine, in particolare le sue dimensioni, deve essere comunque oculata. Non ci si improvvisa certo curatori museali e organizzatori di mostre dall’oggi al domani. Una volta ho assistito a una mostra per i cento anni della National Geographic. Ero abbastanza entusiasta e mi aspettavo un evento strepitoso, invece rimasi abbastanza deluso: le immagini erano state stampate a tutta parete, ma con una risoluzione troppo bassa. Evidentemente, il tutto era concepito per essere fruito da una certa distanza, ma le sale che le ospitavano erano troppo piccole e così gli spettatori per lo più vedevano i difetti della grana, perdendo la gran parte della bellezza d’insieme delle immagini.

Perciò noi dobbiamo pensare a questi aspetti, quando realizziamo delle immagini. Altro che premere solo un tasto. Se pure ci stiamo limitando a cercare un buon soggetto per abbellire la parete di casa nostra, accertiamoci che si presti a un’immagine delle dimensioni giuste. Per esempio, un ritratto dovrebbe essere ambientato, in modo da permettere di godere della visione d’insieme da lontano e del dettaglio del soggetto da vicino. Meglio, quindi, evitare un primo piano stretto, se non vogliamo correre il rischio di trovarci a contemplare il contenuto di una narice, quando ci avviciniamo. Se non abbiamo un’immagine del genere, valutiamo infine la possibilità di stampare una serie di fotografie, per esempio un trittico, belle da guardare nel loro insieme da lontano, ma anche prese singolarmente da vicino.

come sempre interessanti i tuoi articoli, la stampa è importante, io ho molti quadretti delle mie immagini di paesaggio che reputo più belle, di tanto in tanto li cambio 👍👍😉😊
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Grazie
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