Sul concetto di bellezza si potrebbe discutere in eterno. Di sicuro l’umanità ne discute da tempo immemore e una branca della filosofia, l’estetica, si occupa proprio di studiare il bello in tutte le sue forme ed espressioni. C’è anche un buon libro sull’argomento, di cui abbiamo già parlato. Eppure c’è un particolare tipo di bellezza che specialmente si presta alla fotografia, la bellezza inusuale, non convenzionale. Vediamo di cosa di tratta e come meglio gestirla.

Il fascino di una bellezza non più giovane, l’esaltazione dei segni del tempo, la rappresentazione di un vissuto sono quanto di più appetibile per la macchina fotografica, da sempre il mezzo ideale per rappresentare il tempo e i suoi effetti, per, come dice Ferdinando Scianna (o meglio, come diceva suo padre), “ammazzare i vivi e resuscitare i morti“. Anche una rosa sfiorita può rappresentare un soggetto interessante, con la giusta luce e gli occhi adatti a coglierne l’intreccio di ombre su di esso.

Passando dalle rughe alle crepe, forse un fascino ancora meno discutibile ci suscitano, invece, le rovine e i relitti. Non solo l’archeologia e le antiche vestigia di passate civiltà, ma anche palazzi più moderni in rovina, complessi industriali abbandonati e imbarcazioni arenate. Vivo relativamente vicino l’oasi di Ninfa, sono stato da ragazzo al sito archeologico di Olimpia e non resisto al fascino di antiche rovine circondate dalla natura, come dicevo, ma non perdiamo di vista la possibilità di dedicarci all’archeologia industriale, se ne abbiamo l’opportunità.

Con le palestre chiuse, di recente ogni tanto faccio un giro in bicicletta, illudendomi di smaltire un’intera settimana di vita sedentaria. In una località non lontana da casa, ci sono un paio di vecchie masserie abbandonate, fatiscenti, ma ancora ben conservate, tutto sommato. Qualche crepa, delle brecce, polvere, tutto ciò che ci si può aspettare da degli edfici rurali abbandonati. In particolar modo, una delle due è di un giallo paglierino ancora vivo. Vedendola, mi è subito tornata in mente un’immagine di una mia collega, bella donna, senza dubbio, che a una grigliata aziendale indossava una gonna blu: sarebbe stata la modella perfetta, per quel set fotografico. Colori (quasi) complementari, contrasto tra una bellezza convenzionale e il fascino della location fatiscente, ma accattivante: cos’altro può desiderare un fotografo? Peccato che a lei non piaccia farsi fotografare.

Altro concetto interessante, che è nato o quanto meno è diventato preponderante, nella letteratura romantica, è il concetto di sublime, una sorta di fascino gotico, di una tetra bellezza che atterisce, spaventa, frastorna, ci fa sentire piccoli e impotenti. Siamo attirati dalla potenza devastante del fuoco e fotografiamo incendi ed eruzioni vulcaniche. Siamo spaventati dalle tempeste, eppure ci attirano, come se l’elettricità statica dell’aria esercitasse una forza magnetica sui nostri sensi. Raccontiamo storie sui pericoli di una foresta oscura, ma, quando ne vediamo una, sentiamo un bisogno irrefrenabile di entrarci e vedere cosa vi si nasconde. In generale, tutto ciò che ha un che di vasto e soverchiante ci attira, così come tutto ciò ci infonde un senso di pericolo. Il sublime è tutto qui, magnifico, smisurato, tetro. E, dato che di tetraggine stiamo parlando, il più delle volte il sublime esprime il meglio di sè se ritratto in low-key.

E, parlando di bellezza non convenzionale, non possiamo trascurare il minimalismo e lo stile low-graphic. Una bellezza ricca, barocca, sovrabbondante è sicuramente più vistosa e cattura l’occhio, ma nell’arte orientale esiste il concetto di wabi-sabi, una sorta di bellezza della povertà. Senza scomodarci ad arrivare fino in Giappone, già da anni anche nel mondo occidentale si è diffuso il gusto per il minimalismo, che, però, è tutt’altro che povero.

Infine, non mancano i motivi per fotografare ciò che non è considerato convenzionalmente bello. Tralasciando le nostre emozioni verso specifici soggetti, alle volte possiamo decidere di riprendere ciò che non ci piace, per motivi documentaristici o di denuncia. A tal proposito potremmo fotografare con una composizione perfetta un edificio fatiscente, in pieno centro, per accentuare il degrado urbano, per esempio. In questo caso, il nostro fine sarà quello di rappresentare in modo più oggettivo possibile (quasi un’utopia), restituendo la dovuta dignità al soggetto (doveroso), ciò che ha bisogno della nostra testimonianza.
