Le serie fotografiche affondano le loro radici nel concetto di serialità già presente nell’arte e possono trarre giovamento anche da altre pratiche affini, anche nate dopo la fotografia stessa. Conoscerle può darci degli spunti interessanti per progettare e migliorare le nostre serie. Vediamone alcune.

Innanzitutto possiamo partire, come sempre accade, quando si parla di fotografia, dal confronto con la pittura. In realtà su questa sorellanza tra le due arti figurative ci sarebbe molto da dire e anche da obiettare, ma, se siete interessati all’argomento, preferisco rimandarvi all’ottimo saggio di Claudio Marra dal titolo “Fotografia e pittura nel Novecento (e oltre)“. Per ora limitiamoci a considerare il fatto che nella pittura non mancano le serie di quadri e affreschi. Se vi capita di fare un viaggio a Roma, passate a piazza Navona e visitate la chiesa di San Luigi dei Francesi, dove potrete ammirare il meraviglioso trittico di San Matteo del Caravaggio nella Cappella Contarelli, tanto per citare un esempio non da poco.

Sempre in pittura, potremo trovare serie accomunate non dal soggetto e dalla sua storia, ma da un tema ricorrente, come un colore, una particolare veduta in momenti diversi della giornata. Claude Monet è famoso (anche) per la sua serie di quadri raffiguranti barche in navigazione sul fiume, delle regate, con delle inquadrature per altro molto “fotografiche“, en plein air.

Parlando di serie, come si può non considerare il cinema, che offre spunti interessanti non solo per i temi, ma anche per le realizzazioni. Le tecniche del cinema possono essere recuperate e adattate alla fotografia in serie, per esempio sfruttando i cambi di scena cinematografici per accostare due foto in successione temporale tra loro. D’altro canto il cinema stesso prevede una fase di realizzazione di uno storyboard, una sequenza di scene disegnate che faranno da base per il girato vero e proprio.

Storyboard, fotoromanzo e fumetto, sono tre media che richiedono lo sviluppo di serie di immagini, da cui è sempre possibile trarre spunto e ispirazione. E, se da un lato esaltiamo il cinema come settima arte, non trascuriamo la televisione, soprattutto visto l’enorme espansione che il settore delle serie televisive sta attraversando in questi ultimi anni. Dalle serie TV, per esempio, possiamo mutuare la possibilità di mantenere un’ambientazione coerente nella nostra serie. Prendiamo a esempio tre diverse serie fantascientifiche, molto simili per tematiche, eppure diverse per tipologia di serialità:
- Dark: è una classica serie che racconta una storia, costituita da avvenimenti in sequenza temporale (anche se su diversi piani temporali e spaziali e salti dei personaggi tra di essi) con protagonisti e personaggi ricorrenti che si evolvono e portano avanti la narrazione fino al suo compimento.
- Tales from the loop: la serie racconta diverse storie ambientate tutte nello stesso luogo, una piccola cittadina vicino a un centro ricerche, chiamato Loop. Ogni puntata, dunque, sviluppa una storia a sè stante, solo marginalmente legate alle altre (il protagonista di una storia può apparire di sfuggita in un’altra, per esempio). La serialità è data dal contesto.
- Philip K. Dick’s Electric Dreams: sono storie di fantascienza con un unico denominatore: sono tutte tratte da racconti di Philip Dick.

Insomma, non necessariamente la nostra serie deve incarnare l’ideale aristotelico di una singola unità di azione, tempo e luogo (anche perché Aristotele si limitava a constatare che le opere teatrali del suo tempo erano composte così e non voleva postulare tali elementi come canone di perfezione: classico caso di confusione tra leggi descrittive e prescrittive).

Esistono poi serie di opere teatrali, anche queste più o meno legate tra loro (Tre atti unici di Carmelo Bene, per esempio) come anche serie di statue e, ovviamente, serie musicali, non solo intese come sinfonie e opere, ma anche come concept album. Mi limiterò a citare The Wall dei Pink Floyd, un’opera rock in tutto e per tutto, per rendere l’idea di cosa voglio dire.

E, ovviamente, abbiamo la fotografia. Di serie fotografiche è pieno il mondo! Se della ripetizione Andy Warhol fece il suo cavallo di battaglia, il concetto di serie è diffusissimo dagli albori della fotografia, se pensiamo che la prima serie di cui abbiamo testimonianza risale a pochi anni dopo la stessa invenzione della fotografia a opera di Gustave Le Gray.

Certo, quando parliamo di serie, pensiamo subito al reportage, ma non solo. Possiamo menzionare Edward Weston e la sua serie su peperoni e altri ortaggi in piena Avanguardia, così come il tentativo di August Sander di classificare l’intera società tedesca nelle sue fotografie, per poi arrivare ai giorni nostri, con opere decisamente meno convenzionali, come “Mood disorder” di David Horvitz. Questo geniale artista ha inserito un suo autoritratto come immagine (poi rimossa perché considerata in violazione del regolamento) della pagina di Wikipedia sull’argomento dei disturbi dell’umore, rilasciandola per il libero uso, e poi ha aspettato che l’immagine fosse ripresa e riutilizzata da altri media che trattavano l’argomento, per poi esporre al MOMA di New York una mostra che raccogliesse tutti gli articoli corredati da quell’immagine, di volta in volta modificata.

Tutte queste serie partono da un’analisi delle immagini progettate o prodotte, verificando cosa le accomuni e in cosa esse differiscano e se tali caratteristiche siano in esse stesse facili da percepire o meno. In fondo, quando ci troviamo davanti a una serie, la prima cosa che facciamo è cercare il filo conduttore, il criterio che le unisce, chiederci perché l’autore le ha unite in una serie.

Vi invito, dunque, a porvi le stesse domande, prendere spunto e pianificare le vostre prossime serie fotografiche.
in fondo quando scattiamo certe foto, anche di paesaggi, in qualche modo stiamo già facendo delle serie, io ad esempio ho laghi a non finire, tramonti a non finire. Tutte serie che volendo potrei già realizzare…
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