La fotografia è ingannevole, questo ormai si sa. O almeno lo sanno gli addetti ai lavori. Chi fotografa dovrebbe sempre tenere a mente questo assunto, perché capita che talvolta siamo proprio noi fotografi a dimenticare quanto il mirino possa farci prendere una cantonata. E allora, guardare, sì, osservare, bene, seguire l’impulso, certo, ma ragionare, anche. È fondamentale.

Quindi, per “progettare” la nostra fotografia, pensiamo bene a cosa vogliamo che ci sia e, non trascuriamolo, cosa vogliamo che non ci sia. Non lasciamoci sopraffare dalle sensazioni che proviamo sul posto e ricordiamo che chi osserverà le nostre immagini, probabilmente, non ha vissuto quell’esperienza e, quindi, non basterà una foto qualunque a fargli provare lo stesso. E, anche se l’ha vissuta, magari l’ha fatto in modo diverso e provato altre emozioni.

Come sempre, raccomando di non tralascirare il nostro gusto personale, che ci aiuterà a scegliere ciò che più ci piace e l’intuito, che ci consente di agire con la dovuta rapidità, ma questo non vuol dire che basti sempre e comunque affidarsi al nostro cuore. Insomma, è opportuno trovare un giusto compromesso.

E, soprattutto, usiamo il mirino per esplorare correttamente la scena. Proprio il mirino, infatti, è uno strumento fondamentale, che aiuta a concentrarci e focalizzare il proprio sguardo. Il nostro cervello tende a correggere gli errori di prospettiva, ignorare elementi di disturbo, almeno a livello conscio, ma il mirino, scusate il gioco di parole, ci mostra tutto con un’altra ottica. A tal proposito, credo che lo schermo LCD non abbia lo stesso potere, ma questa è più una considerazione personale, di certo non è un dato di fatto.

Tramite mirino o tramite il nostro allenatissimo occhio, l’importante è identificare difetti ed elementi di disturbo e, una volta fatto, eliminarli. Ciò non significa spostare fisicamente elementi sulla scena (certo, anche questo, se possiamo), ma più semplicemente, inquadrare in modo diverso la scena. Dunque, spostiamoci di lato, alziamoci o abbassiamoci, avviciniamoci o allontaniamoci, usiamo una focale più lunga o più corta, apriamo o chiudiamo il diaframma e gli elementi inclusi nella nostra immagine cambieranno di conseguenza.

E, di conseguenza, cambierà pure il messaggio che stiamo mandando, ciò che vogliamo vogliamo si evinca dalla nostra fotografia. Quindi è importante avere bene in mente ciò che stiamo esprimendo, anche per definire cosa vogliamo incluedere e cosa no, nell’inquadratura. È altresì importante che il messaggio sia semplice e non confusionario: se abbiamo più sensazioni da rappresentare, forse è meglio scattare più di un’immagine, invece di inserire soggetti e referenti diversi in una sola immagine e rischiare trasmettere confusione.

D’altro canto, occorre anche fare in modo da non ottenere immagini troppo piatte e banali. Quando ci troviamo davanti a un soggetto straordinario, dal fascino esotico, siamo tentati di puntare, non inquadrare, e scattare, pensando che sarà il soggetto a fare tutto il resto. Ma il soggetto, in realtà, è la nostra sensazione, non quell’esotico referente che l’ha susciatata, che, per altro, potrebbe essere esotico solo per una piccola parte del nostro pubblico (pensiamo a Internet e all’audience potenzialmente sterminata) e in generale una piatta cartolina, uguale a mille altre, può non bastare a rendere al meglio la nostra esperienza con quel referente, senza un’inquadratura adeguata.

Anche perché se il soggetto è per l’appunto un’emozione, il referente può anche essere comune e banale, purché, ancora una volta, inquadrato in modo adeguato. Insomma, non trascuriamo di osservare accuratamente il mondo intorno a noi, che può riservare dei referenti altrettanto efficaci, proprio sotto il nostro naso.

8 pensieri riguardo “Pensare l’inquadratura”