Nel digitale la sensibilità è un concetto relativamente semplice: basta schiacciare un tasto o girare una rotellina per modificare l’ampiezza del guadagno del sensore e avere un funzionamento più o meno sensibile alla luce. Con la pellicola, invece, la questione è un po’ più complessa, perché ognuna ha una sua sensibilità e, per cambiarla, occorre cambiare pellicola… più o meno.

Un tempo esistevano fondamentalmente due scale per misurare la sensibilità, una americana ASA e una europea DIN. La scala ASA era a livello concettuale molto semplice: a un raddoppio di valore corrispondeva un raddoppio di sensibilità, un

aumento di uno stop; La scala DIN era un po’ più complicata, perché è una scala logaritmica e, poiché si basava sul logaritmo in base dieci, per avere un raddoppio di sensibilità, era necessario aggiungere il valore tre (dieci volte il logaritmo in base dieci di due): la conversione si eseguiva correttamente come segue:
SDIN = 10 log SASA + 1
Sì, lo so, ogni volta prometto di smetterla con la matematica, ma poi ci ricasco. Rassegnatevi all’idea che la tecnica fotografica è tutta basata sulla fisica e sulla chimica e, quindi, sulla matematica. Quindi dovrete studiare i logaritmi per comprare una pellicola in Europa? No, state tranquilli. Esiste un’organizzazione internazionale, la ISO, che si occupa di standardizzare le unità di misura e ha provveduto a unificare le due scale in una universale, la scala ISO, perlappunto.
Qualsiasi fotografo digitale conosce il concetto di sensiblità ISO e la regola del soleggiato 16 con cui è calcolata (in realtà c’è una complessa formula matematica dietro, ma alle volte perfino io mantengo le promesse, quindi non la menzionerò). Per la pellicola, la sensiblità è sostanzialmente equivalente, cioè una pellicola ISO 100 ha la stessa sensibilità di un sensore impostato a ISO 100, cioè ASA 100.

Per le pellicole è lo stesso, solo che solitamente, oltre a riportare il vecchio valore ASA, è presente un secondo valore espresso in gradi, che corrisponde alla classificazione DIN. La tabella di seguito riporta un esempio di scala ISO delle comuni pellicole.
Le pellicole con con una sensibilità ISO elevata sono dette veloci, perché consentono di usare tempi di esposizioni più brevi (ma anche diaframmi più chiusi, quindi ottenere una maggiore profondità di campo). Ciò è utile anche perché esposizioni lunghe influenzano la sensibilità effettiva di una pellicola. Inoltre così come maggiori sensibilità comportano rumore in fotografia digitale, così nella fotografia a pellicola una maggiore sensibilità comporta una grana, che però non è sgradevole alla vista, anzi in alcuni contesti è addirittura ricercata (o ricreata in post-produzione), perché crea un effetto dipinto antico.

Le pellicole sono spesso impresse con un codice che permette alle fotocamere più evolute (quelle dotate di sistema CAS, Camera Auto Sensing) di leggere la sensibilità ISO e trasmettere questa informazione all’esposimetro della macchina, permettendo una lettura ottimale della luce sulla scena. Poiché non è inusuale utilizzare sovraesposizioni o sottoesposizioni della pellicola, per poi poter ottenere particolari effetti, come un maggiore contrasto, variando i tempi di sviluppo, in casi del genere dovrete agire sulla compensazione dell’esposizione.

E, dato che siamo in argomento, un paio di consigli. Innanzitutto, pellicole più sensibili (diciamo almeno 800 ISO) funzionano meglio con procedimenti di sottoesposizione e sovraesposizione, ma tenete bene a mente che non potrete sviluppare indipendentemente i singoli fotogrammi di un rullino, quindi, se decidete per un’opzione del genere per uno scatto, dovrete in realtà usarla per tutti. Tenendo presente questo, non è difficile sfruttare le pellicole in questo modo. In fondo, basta considerare una pellicola ISO 100 come se fosse una da 50, per sovraesporre di uno stop.

Tornando alla grana, perché le pellicole ne sono affette? Dipende dalle dimensioni dei grani di alogenuro di argento. Più sono grandi, maggiore è la sensibilità, maggiore sarà la grana. Esiste un modo per evitare ciò e consiste nell’ispessire lo strato di emulsione. Il problema è che un’emulsione più spessa causa una rifrazione della luce al suo interno, quindi una minore nitidezza delle immagini.
in un tempo in cui si parla solo di digitale fa sempre bene rileggere qualche concetto tecnico legato alle vecchie pellicole 😉
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Grazie
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