Esposizione nella fotografia di architettura – Parte 1

Se c’è qualcosa di imprescindibile nella fotografia, questa è l’esposizione. Quale che sia il nostro soggetto, il nostro fine, la nostra attrezzatura, decidere quanta luce registrare nei nostri scatti è, all’atto pratico, ciò che più influisce sul nostro risultato finale. Conosciamo, dunque, i principi generali dell’esposizione, ma possiamo fare un passo avanti e analizzarli per vedere come si adattano al meglio alla fotografia di architettura.

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In esterna non abbiamo molte possibilità di influire sull’esposizione

Come abbiamo già visto, nella fotografia di architettura abbiamo dei soggetti statici, “immobili” per definizione, quindi abbiamo poco da preoccuparci per ciò che riguarda i tempi di esposizione. Certo, abbiamo bisogno di un treppiedi, fedele compagno del fotografo di architettura, ma, una volta piazzato con la nostra macchina fotografica, non dovremo più preoccuparci dell’effetto mosso.

Anzi, nel caso in cui il vostro edificio sia circondato da soggetti in movimento e questi siano tutt’altro che graditi nella vostra composizione, un lungo tempo di esposizione vi permetterà di eliminarli senza troppi patemi. Oppure di cogliere delle sfumature di “contorno” al vostro soggetto principale.

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Lunghi tempi di esposizione permettono di sfumare i passanti

Sull’apertura del diaframma dobbiamo invece spendere qualche parola in più. Nella fotografia di architettura spesso è importante il dettaglio, la nitidezza e, trattando di soggetti molto grandi, sarà necessaria una buona profondità di campo. Dovendoci spesso allontanare dal soggetto per coglierlo pienamente, partiamo con un certo vantaggio (ricordiamo che un buon modo per aumentare la profondità di campo è, per l’appunto, allontanarsi dal soggetto), ma, d’altro canto, lavorare con diaframmi troppo chiusi aumenta le distorsioni, soprattutto sui margini delle fotografie, quindi conviene non scegliere aperture più piccole di f/8 o f/11 (solitamente note come “limite di diffrazione”). Aperture più piccole, infatti, portano facilmente a fenomeni di diffrazione, soprattutto se la nostra fotocamera ha una densità di pixel molto alta.

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Aperture di diaframma molto piccole possono creare problemi di diffrazione

Ovviamente nel caso in cui vogliamo isolare un elemento dal contesto, vorremmo invece optare per una profondità di campo ridotta e, quindi, apertura di diaframma maggiore e distanza dal soggetto più ravvicinata, anche se ciò può voler dire forme decisamente inconsuete e difficili da comprendere. Così come potremmo voler sfruttare la diffrazione per esaltare la texture di un edificio: in questo caso, potremmo chiudere molto il diaframma. Cosa che potremmo fare anche in caso di riflessi puntiformi, per creare un effetto “a stella” o un flare su di essi.

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Diaframmi molto chiusi possono dare degli effetti particolari alle fotografie

Veniamo infine alla sensibilità ISO. Vi ho sempre detto di tenerla bassa, il più possibile, esclusi artifici digitali di scarsa efficacia, che tendono anche a ridurre la gamma dinamica. E nella fotografia di architettura la mia indicazione resta valida. Una sensibilità ISO alta produce grana sulla pellicola e rumore sul sensore e nessuno dei due effetti è apprezzabile nelle immagini di edifici e strutture architettoniche. In fondo recupereremo luce che potrebbe mancare con tempi lunghi di esposizione.

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Una ridotta profondità di campo permette di far risaltare un dettaglio

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