A quanto pare, ci sono ricascato: in un precedente articolo ho parlato di “buona fotografia” e mi è venuto in mente che forse è il caso di approfondire cosa dovremmo intendere con questa espressione. O perlomeno cosa intendo io.

Partiamo dall’ovvio. Una buona fotografia è realizzata sulla base dei dettami tecnici e compositivi. Badate bene, ho detto “sulla base di” e non “in conformità a“. Una buona messa a fuoco, una corretta esposizione, un sapiente uso degli equilibri compositivi sono tutte caratteristiche che daranno alla vostra fotografia un aspetto professionale e va da sè che un buon fotografo deve saper padroneggiare le tecniche che gli consentono di ottenerle nelle sue foto, ma ciò non vuol dire che ogni buona foto deve possederle. Una buona foto non dev’essere un puro sfoggio di abilità tecnica (che magari è percepita come tale solo da un ristretto gruppo di addetti ai lavori), ma deve essere realizzata in base allo scopo, il che vuol dire anche piegare una regola di composizione alla necessità.

Quindi, per realizzare una buona fotografia, dobbiamo innanzitutto avere in mente per quale scopo abbiamo deciso di scattarla. Il più comune è quello di suscitare una reazione nell’osservatore. Possibilmente non una reazione a caso, né quella di indifferenza. L’obiettivo di una buona foto dovrebbe essere quello di catturare l’attenzione del pubblico, far sì che questo non riesca a distogliere lo sguardo dall’immagine, che senta il bisogno di analizzarla, esplorarla, magari di commentarla. Per questo anche la banale presentazione formale di un contenuto (come può avvenire in una pubblicità) può essere meno efficace di un nascondere (magari non troppo) degli elementi da ricercare nell’immagine.

Per fare ciò, una buona fotografia (vedete quante volte lo ripeto?) offre più livelli di lettura, che possono essere grafico o tecnico, narrativo e documentaristico, questo ultimo spesso disponibile per fotografie che partono da un contesto reale. Prendiamo per esempio la seguente foto, che ho scattato qualche anno fa.
Essa presenta un primo livello grafico di forte impatto, dovuto all’illuminazione particolarissima della scena e alla tecnica con cui ho deciso di riprenderla. L’effetto è quello di una silhouette in controluce, ottenuta però con delle linee di contorno di luce a tracciare le figure in uno spazio negativo oscuro.
Un secondo livello narrativo è quello che riguarda la storia dei soggetti, due giovani amanti colti in un momento di tenerezza. Esiste anche un terzo livello di testimonianza, che si basa sul contesto. Questa immagine fa infatti parte di un servizio realizzato per uno spettacolo teatrale, una rilettura della tragedia di William Shakespeare “Romeo e Giulietta“.

E, a proposito della scoperta, di cui parlavo prima, osservando attentamente la foto è possibile intravedere i volti degli astanti, che reggevano e muovevano le luci sulla scena. Quanto di questo scatto è frutto di pianificazione? Quanto di improvvisazione? Una buona foto necessita spesso di una pianificazione, ma, se eccessiva, rischia di palesarsi troppo per un artificio atto ad attirare l’attenzione dello spettatore e nulla più. A volte le foto migliori nascono dall’estro del momento, dal saper cogliere l’attimo.

Ciò che andrebbe ponderato, nel realizzare una buona fotografia, è il contesto, non solo inteso come il livello documentaristico o di testimonianza della foto, ma anche dell’humus culturale in cui stiamo operando. Una buona fotografia è calata nel suo contesto culturale, il che non significa che deve imitare il lavoro altrui o piegarsi ai capricci del momento, ma sapersi stagliare dalla massa delle opere che vanno per la maggiore, senza staccarsi dall’ambiente in cui si dovrà diffondere. In generale, comunque, se pensate di avere una buona idea per una foto che non si adatta, però, al gusto del tempo, vi consiglio comunque di scattarla e riporla. Innanzitutto perché una buona fotografia, a mio avviso, ha maggiori probabilità di essere tale se nasce dalla passione: scattiamo meglio, quando lo facciamo con piacere, anche a dispetto del pubblico. E poi, non si sa mai cosa ci riserva il domani. Basta pensare alla celebre foto scattata da Jacques Henri Lartigue durante il Grand Prix de l’Automobile Club de France del 1913. Lo stesso autore giudicò la sua foto “mal fotografata“, per via del soggetto mozzato, dell’eccessivo flou e della distorsione dovuta alla scarsa velocità dell’otturatore a tendina rispetto al soggetto, che fa sì che quest’ultimo sembri schiacchiato verso il bordo dell’immagine. Cionondimento, nel 1924 Man Ray scattò un’immagine simile e fu molto piacevolmente colpito dal dinamismo che questa sembrava offrire: tale aspetto cominciò a essere la rappresentazione più comune della velocità, tanto che lo stesso Lartigue negli anni Cinquanta del secolo scorso rivalutò fortemente la sua foto della Schneider n. 6, che finì per diventare un cliché, apprezzato da fotografi, critici e grande pubblico.

Insomma, rompere gli schemi, staccarsi dal contesto, può anche risultare una mossa vincente, può farci aprire una nuova strada, mostrare un’idea diversa da quella imperante e non manca nel pubblico chi preferisce farsi sfidare da un nuovo concetto di arte, piuttosto che adagiarsi e lasciarsi cullare da una visione consolidata. Basta tenere a mente che, quando un nostro lavoro rompe gli schemi e non è apprezzato, forse abbiamo lanciato una provocazione troppo in anticipo sui nostri tempi, ma è altrettanto probabile che non abbiamo fatto un buon lavoro. Sarà il tempo a darci la risposta.

L’importante è che dietro l’immagine ci sia un’idea, un messaggio. Che può anche essere un semplice “Guardate quanto è bello questo tramonto“, ma, se per caso fosse qualcosa di un po’ più profondo non guasterebbe: stiamo cercando di elevarci un po’ più su dell’ordinario, in fondo. L’idea è in fotografia qualcosa di estremamente importante, perché potrebbe facilmente non esserci. Un autore che scrive un testo deve avere un’idea. Perfino io, prima di cominciare a scrivere, ho avuto un’idea per un articolo, ho buttato giù una scaletta, pensato a quali foto potevano corredare il testo e poi ho cominciato a scrivere. Così un pittore deve immagine cosa andrà a dipingere. Un fotografo potrebbe, invece, puntare l’obiettivo e scattare senza minimamente pensare a cosa sta facendo (e non escludo che molti lo facciano). Anche solo realizzare qualche immagine basata su un cliché tanto in voga, seppur basata su un’idea, può non bastare a creare una buona fotografia. Magari una foto di successo, facile da vendere, ma troppo dozzinale, perché sia davvero buona.

Infine, una buona fotografia deve essere innanzitutto una fotografia. È facile farsi sedurre dalle altre arti e dal tentativo di imitarle, soprattutto al giorno d’oggi in cui filtri e applicazioni ci permettono di trasformare una foto in un simil-dipinto, in un fotogramma di una pellicola cinematografica, in un poster in stile Andy Warhol, ecc. (non nego di aver io stesso ogni tanto sperimentato con questi giocattoli), ma penso che una buona fotografia sfrutti a pieno le potenzialità del mezzo che le è proprio. Non solo, una buona fotografia verosimilmente non si allontanerà mai troppo da quell’aspetto di testimonianza che, seppur imperfetto, le è universalmente riconosciuto e, quindi, attingerà fortemente dalla realtà, seppur tendendo alla rappresentazione o all’astrattismo. Del resto, Henri Cartier-Bresson diceva che non esistono foto astratte, ma tutt’al più foto estratte.

anch’io condivido la maggior parte delle cose che hai scritto riguardo una buona fotografia, peccato che non tutti, specie su instagram, sanno distinguere una buona fotografia da uno scatto casuale, senza nulla di particolare, se ne vedono fin troppi su quel social….
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