Identità e immagine

Nell’ultimo articolo abbiamo cominciato a dare uno sguardo a un fenomeno che riguarda il mondo della fotografia da ormai diverso tempo, ma che, proprio perché ne siamo immersi, rischia di passarci sotto gli occhi, la cosiddetta postfotografia. Siamo ormai sommersi di immagini disponibili ovunque e molti artisti si occupano oggi di riciclare, riusare e dare dignità a tali immagini esistenti, come Marcel Duchamp era solito fare con gli oggetti nelle sue opere. Ma quali effetti può avere la postfotografia sui ritratti e sulle identità?

Nell’epoca della postfotografia ha ancora futuro il ritratto classico?

Un effetto potenzialmente molto vasto, se si considera che nella società dell’informazione e dell’immagine in cui viviamo è, per l’appunto, l’immagine a farsi identità. Se mostriamo a qualcuno la foto di una persona, raramente diciamo “Questa è la foto di…“, ma più spesso “Questo è…” riferendoci alla persona ritratta. Anche nel mondo del lavoro, i recruiter spulciano i profili social dei candidati e non di rado chiedono di includerne i riferimenti nel curriculum vitae.

Anche se il soggetto non è chiaramente riconoscibile, chi lo conosce si riferirà a lui col suo nome e non come a una sua immagine

Discorso a parte meriterebbero i selfie, in cui è il soggetto stesso a proporsi come pura immagine. Il selfie presenta spesso una forte componente narcisistica, non a caso quasi sempre è realizzato davanti a uno specchio (in quel caso sono anche detti da Joan Fontcuberta riflessogrammi) ed è utilizzato per affermare la nostra presenza, forse anche per paura di smarrire la nostra identità. Occorre, però, stabilire quale identità.

Un’immagine costruisce l’identità? Questo è un maestro di pugilato, indipendentemente da questa e altre foto

Perché l’immagine è fluida e bastano pochi trucchi e qualche filtro automatico per modificarla, alterarla e, di conseguenza, proporre un’identità altra, diversa da ciò che non vogliamo mostrare. Chiunque desideri un’identità diversa, può trovarla facilmente in un’immagine, ma il punto è, se la nostra immagine non ci rappresenta più, riusciamo a sapere chi siamo in realtà? Forse l’immagine non basta più.

Potrei detestare i gatti e fotografarli solo per interessi economici, eppure molti perfetti sconosciuti giurerebbero che li adoro. Bisognerebbe chiedere ai miei amici

Ormai i social network ci guidano e ci aiutano a costruire questa identità. Un esempio? I cosiddetti videodiari, quelle raccolte di immagini e post create da un algoritmo per riassumere il nostro io digitale ai nostri amici e conoscenti, ma anche agli estranei, illudendoci di avere un ritratto fedele di noi stessi. Non so voi, ma io passo mediamente otto ore al giorno in ufficio e nei videodiari che Facebook mi ha proposto negli anni di quelle ore non ce n’è traccia.

Quanti impiegati pubblicano foto del loro lavoro d’ufficio?

Perché l’immagine cambia, distorce la realtà e l’identità. L’ingente quantità di immagini ci mostra i canoni vigenti, ci porta in un circolo vizioso per cui mostriamo agli altri solo ciò che gli altri mostrano a noi. E, in questo modo, si creano mostri e abomini, come la follia di affermare di voler cambiare canone di bellezza per disincentivare i disturbi alimentari negli adolescenti e decidere di ingaggiare modelle curvy… di taglia 44, spacciando tale taglia per una abbondante e facendo forse più danni che affermando che la taglia 38 è la normalità.

Una figura snella e slanciata come canone di bellezza universale è una menzogna

5 pensieri riguardo “Identità e immagine

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