Vendesi foto

Il mercato della fotografia è profondamente cambiato da quando esiste Internet. Prima rivolgersi a un’agenzia di stampa o al fotografo di fiducia era un passo quasi obbligato, oggi molte foto si acquistano online, su portali specializzati e non solo quelli di stocking e micro-stocking. L’offerta è enormemente aumentata, i prezzi sono crollati e la domanda di immagini su commissione si è ridotta ai minimi termini. In questo scenario sono emersi nuovi modelli di business per i fotografi, non tutti vincenti, a quanto vedremo, che vale la pena conoscere.

Le nostre foto di paesaggio potrebbero abbellire le case di potenziali acquirenti in tutto il mondo

Ogni tanto nasce (e, abbastanza spesso, dopo poco, muore) un portale per la vendita di fotografie. Possono adottare modalità e modelli di business differenti, ma l’approccio di base è sempre lo stesso: far incontrare domanda e offerta, quindi da una parte permette ai content creator di proporre il loro materiale, dall’altra dà la possibilità ai committenti di visionare tale materiale e/o chiedere qualcosa di specifico: “Cerco foto di gattino che gioca con pallina“.

Parlando di foto di gattini che giocano a palla…

Questo non solo per le singole immagini, ma anche per interi servizi fotografici e fotogiornalistici. Per esempio, una testata giornalistica non ha più bisogno di inviare un reporter sul posto, ma può acquistare a un prezzo più contenuto un servizio realizzato da un professionista già presente in loco. Può sembrare una cattiva notizia per un fotografo, ma abbattere i costi del fotogiornalismo serve a combattere il fenomeno della cronaca delegata al testimone oculare, dotato di smartphone, che invia immagini e testi gratuitamente o per pochi spiccioli ai giornali.

Nel fotogiornalismo moderno non mancano le foto dei testimoni oculari

Qualcuno ha tentato anche la strada del crowdfounding, una pratica di finanziamento collettivo che parte dal basso e permette a organizzazioni o singole persone di raccogliere fondi per finanziare i propri progetti. Per esempio, se avessimo una rock band, “The photographers“, e , dopo una serie di concerti e serate fossimo pronti a incidere un album, ma non avessimo una casa discografica a sostenerci, potremmo lanciare un crowdfounding, fissando un obiettivo minimo da raggiungere (raccogliere almeno un certo budget) e promettendo in cambio delle quote versate una copia del CD, una volta realizzato e, per i più generosi, autografi, gadget, ringraziamenti sulle copertine dei dischi e quant’altro.

Esistono diversi gruppi che finanziano i loro album con il crowdfounding

Questa sorta di microfinanziamento è stato applicato a prodotti di vario tipo, anche servizi fotografici veri e propri. La natura particolare del prodotto, però, mal si presta: in fin dei conti, è difficile trovare sostenitori “dal basso”, per un reportage giornalistico. Tuttavia, il crowdfounding si è spesso rivelato vincente in campo editoriale e artistico: non solo musica, ma anche fumetti, giochi e libri sono stati prodotti con questo sistema. Potremmo quindi tentare con un editore che realizza libri fotografici con tale formula.

Il crowdfounding è una pratica diffusa in campo editoriale e artistico

Oltre allo stocking e al microstocking, di cui ci occuperemo nel dettaglio, esistono, poi, dei portali che ci permettono la vendita delle nostre immagini. Ce ne sono alcuni che richiedono una percentuale sulle vendite, altri un canone fisso, ma tutti seguono più o meno lo stesso approccio: offrono la possibilità di caricare le proprie immagini, classificandole e, magari, dividendole in gallerie, dando la possibilità agli utenti di acquistarle direttamente o di contattarci per contrattare l’acquisto. Nel primo caso, possiamo impostare un tariffario che tenga conto dell’utilizzo che il cliente vuole fare della foto e della risoluzione scelta, ma stiamo ben attenti a inserire una filigrana sulle immagini in anteprima, se non vogliamo che siano usate a nostra insaputa dai parassiti del web (anche su questo, spenderemo qualche parola più avanti).

Trovo le filigrane estremamente fastidiose, ma sono utili per proteggere il nostro lavoro

In ogni caso, se decidiamo di vendere le nostre immagini o i nostri servizi su un portale, guardiamo bene le condizioni di utilizzo. Alcuni vogliono che i nostri contenuti siano venduti in esclusiva, per esempio. Ce ne sono alcuni che propongono un servizio fotografico in esclusiva per un certo periodo, dopodiché lo vendono come non in esclusiva e infine vendono le singole foto come fosse un servizio di stock. Quali che siano le regole, molti di questi portali puntano sulla qualità, unico punto di forza (anche se sempre meno valido nell’editoria e nel giornalismo contemporanei), rispetto al fotoamatore che si accontenta della soddisfazione di vedersi pubblicato, quindi spesso hanno regole molto rigide nella selezione dei fotografi: potrebbero rifiutarci un account o non consentirci di caricare determinate immagini, perché ritenute non idonee.

Di foto come questa è pieno il web: non sarà sufficiente ad aprirci le porte di un serio portale di vendita di immagini

Infine, ricordiamo che tali portali sono frequentati anche dagli altri fotografi, che non sempre sono onesti e non mancherà chi cercherà di copiare le nostre idee e un watermark spesso non basta a mettere in salvo il nostro lavoro. Questo e le attività richieste per la gestione dei nostri contenuti sui vari portali, talvolta, rende poco proficuo frequentarli. Per lo meno, conviene sceglierne pochi (uno o due) su cui presenziare e limitarsi a quelli.

Dividerci su più servizi può stressarci e portarci al Lato Oscuro

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