Abbiamo visto più volte l’importanza di definire uno spazio colore adeguato per le nostre immagini. Tale spazio è inteso come l’insieme dei possibili colori che possono essere utilizzati nelle fotografie, la tavolozza che avrete a disposizione per dipingere le vostre immagini. Altrettanto importante è la scelta della profondità di bit dei file, perché essa definisce la quantità di colori dello spazio che possono essere inclusi in una singola immagine.

Viviamo nella società dell’informazione e dell’informatica, perciò immagino che spiegare cosa sia un bit possa sembrare superfluo, ma un po’ di ripasso non fa mai male. Un bit è la minima quantità di informazione che un sistema digitale può gestire. Esso consiste in un valore binario, che può assumere, cioè, solo i valori 0 e 1. Se un pixel ha una profondità di un solo bit, esso potrà assumere solo due colori, nero e bianco.
Nel caso di immagini in scala di grigi, con un solo canale per la luminanza, possiamo gestire un certo numero di valori, corrispondenti al numero due elevato al numero di bit, ovvero con 8 bit possiamo avere 256 diversi grigi, cioè due elevato a otto, che vanno dal bianco puro al nero puro.
Nelle immagini a colori RGB avrete un canale per ognuno dei tre colori fondamentali, tre crominanze per i colori rosso, verde e blu, ciò significa che per una profondità di 8 bit, avremo 256 possibili rossi, 256 possibili verdi e 256 possibili blu, un totale di 24 bit, che, combinati tra loro danno 16.777.216 (256x256x256) colori. La crescita, all’aumentare dei bit, è dunque esponenziale: basta un bit in più per avere molti più colori, insomma.
Infatti con una profondità di 16 bit per canale, si sfiorano i trecento trilioni di colori. Più di quelli che molti di noi riescono anche solo a concepire. Questo si traduce comunque in un maggior numero di sfumature che una singola immagine può contenere, garantendo un passaggio più graduale e quindi gradevole tra un colore e un altro: le immagini risultano più armoniose.

Bisogna anche dire che sono pochi i sensori digitali che registrano immagini a 16 bit: la maggior parte ne ha a disposizione solo 12 o 14, che diventano 8 se scattiamo le nostre immagini in formato JPEG. Ciò, lo ripeto, non significa che abbiamo meno colori a disposizione tra cui scegliere, ma solo che potremmo, nella stessa immagine, memorizzarne di meno: insomma, alcune sfumature saranno sostituite da altre il quanto più possibile simili a quelle perdute.

Personalmente vi consiglio di sfruttare sempre al massimo la profondità di bit che avete a disposizione. Sì, è vero che più bit vogliono dire più spazio occupato sulla scheda di memoria (un’immagine a 16 bit occupa il doppio dello spazio di un’immagine a 8 bit), ma, anche se qualche sfumatura di colore in più ci può sembrare un vezzo tutt’altro che irrinunciabile, non percepibile dall’occhio umano, vi garantisco che quelle informazioni in più sono molto utili, quando si ha bisogno o semplicemente voglia di modificare i colori delle vostre fotografie, oppure, quando volete realizzare degli ingrandimenti (che si ottengono tramite un’operazione nota come interpolazione, che, semplificando, consiste nell’inserire dei pixel in più in mezzo a quelli presenti nell’immagine).

sempre utilissimi i tuoi post. Io di solito scatto in jpeg, uso poco il Raw per una questione di praticità, anche se mi rendo conto che perdo molto delle immagini che scatto. Il fatto è che dovendo convertire ogni singola immagine si perde un mare di tempo, ho provato qualche volta, alla fine finivo per trasformare semplicemente in jpeg le immagini, cancellando il Raw per non occupare spazio, limitandomi a trovare i colori migliori. C’è poi da dire una cosa, guardando sul pc le immagini i colori che si vedono sono molto diversi da quelli che si avrebbero su un monitor professionale, già gli apple come colori sono un’altra cosa rispetto al mio Asus, per cui molte sfumature neppure le vedo quando converto le immagini.
Buona domenica 😉
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Grazie
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