C’è chi dice che la fotografia sia morta, soffocata dall’enorme quantità di scatti che quotidianamente finisco sul web, e chi dice che sia al suo apice, grazie all’estrema semplicità con cui al giorno d’oggi è possibile scattare una foto. Sta di fatto che ogni giorno si scattano foto, per qualsivoglia ragione e con qualsivoglia scopo. Allora, noi perché fotografiamo?
Personalmente penso, anzi, spero che chiunque decida di dedicarsi alla fotografia abbia qualcosa da dire, un messaggio da condividere. Questo non significa che solo chi ha una realtà filosofica destinata a cambiare l’umanità dovrebbe interessarsi alla fotografia: il messaggio può anche essere un semplice (e per nulla banale) “Quanto è bello questo tramonto” o “Adoro il mio cagnolino“. L’importante è avere bene in mente cosa vogliamo dire e a chi.
Roland Barthes diceva che in un ritratto, ci sono sempre tre persone: il soggetto, il fotografo e l’osservatore. Non dimenticate di includere quest’ultimo nelle vostre immagini… ovviamente in senso metaforico.
Molte persone si avvicinano alla fotografia e la usano per raccontare la realtà. Io penso che da questo punto di vista sia sopravvalutata. Certo, una fotografia può catturare un evento realmente accaduto e non ne contesto l’uso nella cronaca e nella giurisprudenza, ma, ogniqualvolta si scatta una foto, si fa una selezione: si sceglie cosa inquadrare e cosa non inquadrare, finendo con rappresentare, nella migliore delle ipotesi, solo una parziale verità. Per dirla come il professor Henry Walton Jones Jr, se siete interessati alla verità, forse dovreste dedicarvi più alla filosofia che alla fotografia.
La fotografia, più che alla realtà, è per me qualcosa legata al ricordo e, come il ricordo, può essere fallace e filtrata dalla percezione. Sta di fatto che alcune foto che una valutazione oggettiva potrebbe classificare come errate spesso ottengono un posto d’onore nelle più prestigiose gallerie d’arte del mondo: i nostri salotti. Laurent Boudier diceva “Che importano il flou, le teste tagliate, gli occhi da coniglio? Quando si ama chi appare – anche parzialmente – nella foto, solo il ricordo conta” e io penso che il ricordo di un momento felice sia forse il motivo migliore per premere il tasto di scatto.
Il fatto poi che l’immagine ottenuta sia meno fedele alla realtà di quanto la nostra percezione vorrebbe farci credere non è per me una limitazione, ma semmai un pregio: a patto di tenere a mente questo aspetto, ci dà la possibilità di non limitarci a rappresentare qualcosa di alieno a noi stessi, ma di plasmare ciò che vediamo secondo la nostra visione del mondo, di esprimere il nostro io narrante.
La fotografia può anche rappresentare una meravigliosa sfida a noi stessi: saremo in grado, con la giusta inquadratura, di cogliere il soggetto che abbiamo scelto, trasmettendo non già un’immagine di esso, quanto piuttosto ciò che noi ne vediamo e vogliamo portare all’attenzione degli altri? Oppure, siamo in grado di replicare il lavoro di un grande fotografo, di applicare una tecnica particolarmente difficile o anche solo di farci ricordare da una persona cara con il nostro lavoro?
E, ovviamente, non dimentichiamo motivi più prosaici, ma non per questo meno degni di rispetto e attenzione, ovvero tutti quelli che afferiscono alla sfera del professionismo. Lungi da me descrivere il fotografo come l’angelo custode dei ricordi altrui o come l’eroe al servizio della memoria collettiva. No, di certo. Un fotografo professionista è una persona di carne e ossa, che ha bisogno di mangiare, vestirsi, ripararsi dalle intemperie e vivere una vita come tutti gli altri. Non è un missionario, insomma. Se ha la fortuna di riuscire a svolgere il suo lavoro con passione, tanto meglio: sono sicuro che si impegnerà di più e trarrà grande soddisfazione dalla gratitudine dei suoi clienti.
E magari riuscirà a sfruttare del tempo libero per dedicarsi a servizi che lo appaghino di più, arrivando a varcare la soglia di quel mondo dorato, che pure spesso non dà da mangiare, che si chiama Arte.
E io? Perché io fotografo? Perché studio manuali, seguo e tengo corsi, scrivo articoli e libri, mi metto ad allestire set fotografici anche con l’influenza? Mi piacerebbe rispondere con quella frase di Machiavelli “Mi pasco di quel cibo che solum è mio et che io nacqui per lui” che tanto mi colpì al liceo. Oppure dire che lo faccio perché è qualcosa che mi appassiona e tanto vi dovrà bastare perché, come diceva Bertrand Russell, la passione è la misura di quanto non riusciamo a spiegare razionalmente le nostre idee.
In realtà, io fotografo perché solo così riesco a esprimere entusiasmo, condividere lo stupore, nel bene e nel male, per quello che mi circonda, rappresentare me stesso.
fotografare è un modo di vedere la vita con l’obiettivo del cuore. 😉
Sempre molto interessanti le tue riflessioni, le condivido appieno 😉
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Grazie
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con parole chiare e semplici hai espresso delle profonde riflessioni
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