Il rapporto tra fotografia e verità è un tema decisamente complesso e affascinante, che è dibattuto dagli albori della fotografia, ma che ha assunto maggiore rilevanza negli ultimi decenni.

Se il digitale, infatti, ha reso più accessibile la manipolazione delle immagini, le ultime innovazioni nel campo dei massivi di linguaggio basati sul depp learning, le cosiddette intelligenze artificiali di cui ultimamente spesso si parla, hanno dato vita alla sintografia, cioè alla pseudo-fotografia creata artificialmente, con cui è possibile far rincorrere il Papa dalla polizia o prendere un caffè amichevolmente a Batman e Joker.

Perciò, se prima il pericolo era che il falso potesse essere spacciato per vero tramite un’immagine costruita ad hoc e perfettamente verosimile, ora il rischio è che il vero sia derubricato a falso, in base al timore, opportunamente istigato, che qualsiasi immagine di conferma ci mostrino potrebbe essere artefatta. Ovviamente, non manca materiale sull’argomento, quindi, tra le nostre letture estive (le precedenti sono qui, qui e qui), potremmo aggiungere un paio di volumi sul tema.

Il primo che consiglio è l’opera forse più completa disponibile per il pubblico italiano, Un’autentica bugia, di Michele Smargiassi, edito, neanche a dirlo, dalla Contrasto books (consiglio anche di dare un’occhiata al blog del giornalista romagnolo, Fotocrazia). L’autore in questo corposo e completo volume demolisce tutti i falsi miti che vorrebbero presentarci la fotografia come un mezzo che rivela la verità, ricostruendo la storia del mezzo e delle “sue bugie“.

Smargiassi nel suo volume cita ampiamente un altro personaggio del mondo della fotografia che si occupa del rapporto tra fotografia e realtà, Joan Fontcuberta, che abbiamo già incontrato, quando abbiamo parlato della post-fotografia. Il giornalista romagnolo, infatti, firma anche la presentazione (cioè la prima delle tre introduzioni) al secondo volume di cui parleremo oggi, “Il bacio di Giuda“, di Joan Fontcuberta, per l’appunto, edito dalla Mimesis edizioni.

Diciamo subito che il libro è un po’ datato: la sua prima pubblicazione risale al 1997 (e a quest’epoca risale la prima introduzione alla raccolta originale di saggi). L’autore ne curò una riedizione nel 2011 (con una seconda introduzione) e recentemente il libro è stato ripubblicato in Italia con la presentazione di Smargiassi (la già citata terza introduzione).

Data l’età del libro, ovviamente, ci sono alcune riflessioni che possono risultare datate. Basti pensare che all’epoca della prima pubblicazione la fotografia digitale era poco più che nella fase embrionale, quindi ciò che la riguarda è solamente accennato.

Eppure la lettura è decisamente intrigante: se c’è una cosa che non manca nei testi del fotografo spagnolo è un punto di vista alternativo (almeno finché non è recepito dalla critica e diventa canonico) e interessante. Basti pensare alla contrapposizione tra Vampiri e Narcisi (semplificando, quelli che odiano gli specchi, cioè non credono alla fotografia come mezzo per la verità, e quelli che li adorano). O alla disamina dei peccati originali della fotografia.

Insomma, c’è di che riflettere e trovare spunto per la nostra personalissima interpretazione del mezzo fotografico. Perciò, buona lettura e buona fotografia.

Un pensiero riguardo “Leggere la verità”